Skip to main content
Fig. 1 (A+B+C) – Giovane donna che si presenta per ragioni sintomatiche lamentando:
• un dolore facciale diffuso ma che, con caratteristiche pulsanti, parte e si irradia dall’area articolare (e peri-articolare) dell’ATM di dx, per poi estendersi alla tempia, al collo (cervicalgia) e alle spalle (cervico-brachialgia) con prevalenza sempre a dx;
• soffre, inoltre, di forti mal di testa, che nell’ultimo anno sono diventati più insistenti, più forti e ricorrenti.
La biotipologia, considerando il III° inferiore del viso, può essere inquadrata in un contesto di tipo mesodermico, con una tendenza al prognatismo. Il III° medio del viso risulta molto ridotto ed è indicativo di una componente endodermica ridotta, mentre il maggiore sviluppo del III° superiore del viso è indicativo di una importante presenza della componente ectodermica.
A una prima occhiata generale (A):
• la testa e del collo latero-flessi, leggermente ruotati verso dx e accompagnati da un importante basculamento del cingolo scapolare sono indicativi della presenza di una importante coinvolgimento posturale, che giustifica la cervicalgia e la cervico-brachialgia;
• il piano bi-pupillare e il piano bi-auricolare, come conseguenza della inclinazione della testa, perdono la loro orizzontalità e la loro ortogonalità rispetto alla verticale di gravità. Tuttavia, la loro distanza si presenta con una diversa verticalità, minore a dx (linea verde) e maggiore a sx (linea rossa).
Questa diversa verticalità è indicativa della presenza di una componente ezio-patogenetica verosimilmente di natura neuro-cranica.
   Fig. 1
Nella sovrapposizione a specchio, si tratta, di una paziente con un maggior sviluppo dell’emi-viso di dx rispetto a quello di sx, quindi
con una prevalenza strutturale dx.
Mentre per quello che riguarda i quadranti:
• il quadrante superiore dx, più largo (B), può essere considerato in flessione-rotazione esterna (F/RE), rispetto al quadrante superiore sx, più stretto (C), in estensione-rotazione interna (E/RI);
• il quadrante inferiore dx, più largo e quadrato (B), può essere considerato in flessione/rotazione esterna (F/RE), rispetto al quadrante inferiore sx più stretto e lungo (C), in estensione-rotazione interna (E/RI).
Obiettivamente:
la diversa conformazione e altezza degli occhi e delle orecchie avvalorano la presenza di una problematica di tipo neuro-cranico.
Fig. 2 (A+B+C) – Esame obiettivo della bocca.
Possiamo rilevare:
• una latero-deviazione mandibolare verso dx, con disallineamento delle linee inter-incisive;
• un rapporto canino che si caratterizza per una distanza abbastanza simile, ma il torque del canino superiore di dx risulta chiaramente più aperto (centrifugo), rispetto al torque del canino superiore di sx più chiuso (centripeto);
• un rapporto molare che si presenta in I classe ma, se osserviamo con attenzione, il 46 si presenta leggermente più retruso, mentre il 36 si presenta leggermente più avanzato;
• un piano occlusale che ha perso la sua fisiologia orizzontalità; più esattamente l’emi-piano occlusale di dx si presenta più alto, mentre l’emi-piano di sx si presenta più basso;
• le emi-curve occlusali (di Spee e di Wilson) che risultano più accentuate a dx e meno accentuate non a sx;
• la presenza di un rumore articolare a dx.
Fig. 2
Sono tutti criteri di riferimento che depongono
per uno squilibrio morfo-funzionale statico e fanno pensare a una asimmetria funzionale che, sulla base delle caratteristiche descritte, possiamo identificare in una masticazione monolaterale prevalente dx.
L’alterazione della funzione masticatoria, confermata dalla valutazione dinamica sul piano frontale (vedi fig. 4) è l’aspetto disfunzionale che ha caratterizzato il percorso fisio-patologico di questa paziente.  Alla stessa maniera, la sotto-occlusione dx e la postero-rotazione del condilo omolaterale giustificano la sintomatologia muscolo-articolare riferita dalla paziente.
Va anche sottolineato che molto probabilmente l’OVB fronto-canino condiziona una postura mandibolare tendenzialmente più retrusa. Ci riserviamo di confermare questo riferimento con la valutazione della dinamica verticale, relativa al movimento di apertura-chiusura sul piano sagittale.
Fig. 3 (A+A1+A2+A3+A4- B+B1+B2+B3+B4) – Dinamica verticale.
Il tragitto di apertura-chiusura abituale
presenta un allineamento spontaneo della linea inter-incisiva inferiore alla mediana mascellare
che, a partire dalla massima apertura (A), mantiene la sua linearità per tutto il tragitto di chiusura (A1,A2,A3), per poi deviare verso dx (A4) quando sull’arco di chiusura si ri-allinea in deviazione su una massima intercuspidazione  in sotto-occlusione dx.
Il recupero della deviazione mandibolare, confermato visivamente dall’allineamento delle linee inter-incisive,
depone per una latero-deviazione di tipo FUNZIONALE.
Quello che diventa importante in questa fase, prima di iniziare il trattamento,
è l’identificazione sul tragitto di chiusura (in corrispondenza dell’arco di chiusura) del primo precontatto propriocettivo disclocante.
Quest’ultimo, infatti, diventa l’elemento di riferimento nell’identificazione della relazione cranio-mandibolare dalla quale partire per un ripristino terapeutico, ossia il morso di costruzione. La valutazione del movimento di apertura-chiusura sul piano sagittale mette in risalto
il condizionamento propriocettivo indotto dall’OVB e dal torque in chiusura della guida incisiva mascellare, che limitano la componente traslatoria del tragitto di apertura privilegiando la prevalenza della componente rotatoria.
Tutto questo è messo bene in evidenza in corrispondenza (B) e in vicinanza (B1) della massima apertura, in cui la mandibola mantiene una posizione retrusa e sembra non riuscire a venire in avanti. Man mano che la bocca tende a chiudersi e la mandibola si avvicina alla massima intercuspidazione, si nota la tendenza prognatica (B2) e l’impatto propriocettivo con gli incisivi superiori (B3) che condizionano una postura mandibolare in retrusione (B4).
Fig. 3
Fig. 4 (A+B) – Dinamica frontale.
Il movimento di lateralità verso dx (A) e il movimento di lateralità verso sx (B) si presentano con un andamento asimmetrico, più orizzontale quello di dx, più verticale e un po’ più limitato quello di sx. Nonostante si tratti di una paziente disfunzionale,
entrambi i movimenti risultano bilanciati bilateralmente, ma quello di dx si presenta con un numero di contatti maggiore e meglio distribuiti.
Fig. 4
Anche se i due movimenti di lateralità sono abbastanza simili e in bilanciamento bilaterale, rimane comunque una paziente in masticazione monolaterale dx:
• verso l’emi-mascellare RE (più largo) e a minore verticalità (linea verde), in accordo con quanto sostenuto da Planas;
• in sinergia con l’atteggiamento posturale della testa e del collo, che risultano inclinati lateralmente e leggermente ruotati verso dx, cioè verso il lato a minore dimensione verticale occlusale stativa (DVOs) e a minore dimensione verticale occlusale dinamica (DVOd) fra le due emi-arcate di dx, rispetto alle due emi-arcate di sx. Questo è un elemento che avvalora la presenza di una causalità dis-funzionale a primarietà stomato-gnatica, nell’insorgenza delle problematiche extra-stomatognatiche del collo e delle spalle.
Fig. 5 (A+B+C+D) – Dinamica sagittale.
Fig. 5
Possiamo notare:
• la disclusione posteriore, indicativa della scarsa sinergia funzionale fra le determinanti anteriori e le determinanti posteriori;
• la rettilineità del tragitto di protrusiva e  il ri-allineamento delle linee inter-incisive, che confermano la natura funzionale della latero-deviazione;
• la verticalità asimmetrica delle componenti intermedie, con uno spazio inter-occlusale maggiore fra le due emi- arcate di dx, corrispondenti al lato a minore verticalità statica e dinamica.
La distalizzazione mandibolare (conseguente a una guida incisiva impropria) e la postero-rotazione condilare dx (conseguente alla masticazione asimmetrica) rappresentano i due elementi aggravanti che scompensano l’articolazione omolaterale e la rendono sintomatica.
Fig. 6 (A+B) – Invitiamo la paziente ad aprire fino alla massima apertura e a chiudere senza però portare a contatto i denti. Possiamo notare come recupera “spontaneamente” la componente traslatoria del movimento di apertura-chiusura (A) ed evidenzia il precontatto disclocante a carico degli incisivi anteriori (B), il cui OVB e il torque negativo si sono accentuati come conseguenza della postura distalizzata della mandibola. Nel percorso terapeutico,
il recupero strutturale di questo torque compensativo e patologico (per la presenza di sintomatologia) diventa il primo elemento sul quale orientare l’azione terapeutica.
Fig. 6
Fig. 7 (A+B) – Morso di costruzione in cera.
Introduciamo due chiavi in cera separate nei settori posteriori, in maniera da mantenere visibile il precontatto anteriore precedentemente individuato, e accompagniamo delicatamente la mandibola, considerando:
• l’aumento di dimensione verticale occlusale (DVO) sul riferimento del primo precontatto deflettente, in corrispondenza degli incisivi superiori;
• la spontanea mesializzazione della mandibola, una volta che viene meno l’impatto propriocettivo anteriore;
• il riferimento visivo dell’allineamento delle linee inter-incisive.
Indurite le cere, le togliamo, le raffreddiamo, le rifiniamo e, se necessario, le stabilizziamo con un po’ di Temp Bond.
Fig. 7
Fig. 8 (A+A1- B+B1) – Poi le re-introduciamo in bocca per valutare:
• con i movimenti di apertura-chiusura la ripetibilità e la stabilità della posizione;
• con la palpazione endo-auricolare la neutralizzazione dell’incoordinazione condilo-meniscale.
Fig. 8
Sottolineiamo che non necessariamente si riesce sempre a neutralizzare l’incoordinazione condilo-discale. Nei casi in cui non c’è un recupero immediato e completo, ciò che riteniamo importante
è che ci sia una RIDUZIONE SIGNIFICATIVA dell’incoordinazione e che questa riduzione sia accompagnata da un MOVIMENTO di APERTURA-CHIUSURA LINEARE e SPONTANEO.
Evitiamo di modificare la posizione con un’ulteriore mesializzazione, oltre a quella raggiunta spontaneamente dalla paziente perché rappresenterebbe una “forzatura”, cioè a tutti gli effetti una ipercorrezione che:
• comporterebbe un posizionamento del condilo a ridosso delle eminenze, con perdita della posizione di galleggiamento condilare e della posizione di neutralità articolare;
• sarebbe difficile da stabilizzare.
Fig. 9 (A+B+C) – Iniziamo il trattamento con un Planas di tipo telescopico.
In tutti i pazienti in cui è necessario mantenere al meglio il cambio di postura mandibolare e stabilizzare la posizione della relazione intermascellare definita con il morso di costruzione,
il vincolo sul piano frontale fornito dalle molle dorsali, che contraddistinguono questo apparecchio, non permette che la mandibola possa spostarsi verso il lato della sotto-occlusione.
In ragione di questa caratteristica, è molto importante la precisione del rapporto intermascellare terapeutico, che non può fare a meno di avvalersi:
• della conoscenza del percorso fisio-patologico che ha portato in disfunzione la paziente;
• della visualizzazione della posizione recupero, favorendone il recupero spontaneo.
In questa posizione il dispositivo favorirà il recupero delle due dimensioni verticali occlusali statiche posteriori (DVOs) posteriori, in quanto il piano occlusale
 è completamente libero di fornire una risposta verticale rappresentata dall’estrusione equilibrata dei denti.
Se, come in questo caso, non è presente una problematica di affollamento dentale a seguito della quale è necessario prima espandere per mantenere la posizione, il vantaggio del Planas telescopico (oltre a stabilizzare il cambio di postura mandibolare) è rappresentato dal fatto che non ha accessori occlusali rappresentati dalla presenza di appoggi e/o di ganci.
Questi ultimi, se da un lato consentono la stabilizzazione delle placche, dall’altro impediscono il movimento estrusivo dei denti sui quali prendono appoggio.
Fig. 9
In alternativa a un dispositivo di questo tipo, possiamo agire con un’azione meccanica convenzionale o con degli allineatori con i quali, però, è molto difficile mantenere il cambio di postura e favorire la maturazione occlusale. Oppure possiamo ricorrere all’utilizzo di un bite che, tuttavia, anche se ben realizzato nel sostenere questa posizione, non permette nessun tipo di movimento dentale. Di conseguenza, appena la paziente rimane senza il dispositivo, il sistema si riallinea immediatamente sulla statica non fisiologica iniziale. Inoltre, considerando la giovane età della paziente, dal nostro punti di vista, l’utilizzo del bite non trova nessuna indicazione se non per un trattamento di compromesso legato ad altri aspetti. Invece l’utilizzo degli ACCESSORI, che possono essere inseriti a seconda delle necessità in questo tipo di apparecchiature funzionali, consente di potere agire in maniera mirata sulla posizione degli elementi dentali, in particolare sulla posizione degli elementi dentali che innescano per primi il contatto deflettente e la conseguente deviazione funzionale della mandibola. Correggendo i precontatti deflettenti anteriori e favorendo l’estrusione equilibrata e bilaterale delle componenti intermedie, in maniera da consentire la maturazione di due dimensioni verticali occlusali statiche (DVOs) posteriori uguali, possiamo ottenere il recupero graduale della posizione terapeutica e la sua stabilizzazione occlusale. Ricordiamo che
l’utilizzo dell’apparecchiatura non deve scendere al di sotto delle 16-18 ORE di UTILIZZO e i controlli devono essere fatti in maniera molto regolare ad INTERVALLI di 6-8 SETTIMANE.
Questo intervallo è fondamentale per:
lasciare al sistema il tempo biologico necessario per elaborare lo stimolo, modulare una risposta e adeguare lo spostamento e consentirci di apportare le modifiche necessarie per inserire una ulteriore stimolazione.
In sostanza, dobbiamo inserire poche informazioni in grado di stimolare il sistema recettoriale in maniera fisiologica e rispettare i tempi biologici di risposta del sistema senza sovraccaricarlo.
Questa diversa impostazione del percorso terapeutico prende le distanze dai tempi di lavoro (timing) più accelerati imposti da molti dei trattamenti convenzionali e ci auguriamo che possa contribuire ad un vero e proprio “risveglio” da parte della medicina odontoiatrica nei confronti di un “letargo” culturale e clinico imposto dall’ ebbrezza egocentrica di un tecnicismo presuntuoso,
che confonde il MALATO con il CASO CLINICO e la CURA con la TERAPIA.
Fig. 10 (A+B+C) – A distanza di quattro mesi (cioè dopo due controlli) il recupero del torque linguale,
effettuato mantenendo il contatto propriocettivo delle molle retro-incisive all’interno e la distanza dell’arco vestibolare all’esterno,
ha consentito la vestibolarizzazione degli incisivi e la conseguente neutralizzazione del precontatto deflettente anteriore. Nello stesso tempo,
la riduzione della verticalità conseguente alla vestibolarizzazione degli incisivi e l’estrusione dentale posteriore hanno consentito la maturazione di contatti tripodali fra l’area anteriore e le componenti intermedie posteriori,
con conseguente stabilizzazione della relazione intermascellare statica.
La paziente si presenta completamente asintomatica e riferisce la scomparsa del rumore articolare. La mesializzazione della mandibola, l’aumento e la simmetria delle due dimensioni verticali statiche posteriori (DVOs) di dx e di sx e il recupero del ri-allineamento delle linee inter-incisive
hanno favorito il riposizionamento dei condili in una posizione di galleggiamento condilare compatibile (nel contesto della loro area di adattamento) e la tendenza dell’asse di rotazione condilare verso una maggiore orizzontalità.
Due condizioni fondamentali per riportare il sistema in una situazione di compenso.
Fig. 10
La presenza delle viti ci consente di poter effettuare una minima espansione, necessaria per imprimere una stimolazione centrifuga al sistema, gestendo in maniera differenziata e mirata il contatto della resina sull’equatore dei denti. Più esattamente:
• l’emi-mascellare di dx dal lato della deviazione, per la sollecitazione centrifuga al quale è sottoposto risulta iper-espanso, di conseguenza la resina sugli elementi più vestibolarizzati deve essere mantenuta scaricata, in modo da favorire un loro rientro e rimodulare la loro posizione con l’emi-arcata mandibolare corrispondente;
• l’emi- mandibola di dx dal lato della deviazione, al contrario, per la per la sollecitazione centripeta al quale è sottoposta risulta ipo-espansa, di conseguenza la resina deve essere mantenuta a contatto per fornire l’effetto presenza necessario a favorire la vestibolarizzazione degli elementi più lingualizzati  e rimodulare la loro posizione con l’emi-arcata mascellare corrispondente;
• l’emi-mascellare di sx per la sollecitazione centripeta al quale è sottoposto risulta ipo-espanso, di conseguenza la resina sugli
elementi più lingualizzati deve essere mantenuta a contatto per favorire l’espansione basale e la vestibolarizzazione dentale e rimodulare la loro posizione con l’emi-arcata mandibolare corrispondente.
• l’emi-mandibola di sx, al contrario, per la sollecitazione centrifuga alla quale è sottoposta risulta iper-espansa, di conseguenza la resina sugli elementi più vestibolarizzati deve essere scaricata.
Per quello che riguarda il contatto fra le due superfici in resina delle piste, in questo caso
cerchiamo di mantenerlo il più posteriore possibile in modo da generare un effetto pivot, che favorisce l’antero-rotazione mandibolare.
Fig. 11 (A+B+C+D) –
Fig. 11
Sempre facendo riferimento alla gestione dell’apparecchiatura, che consideriamo fondamentale per ottimizzare l’efficacia di questi apparecchi, focalizziamo l’attenzione sull’azione che può essere concentrata, dove necessario, anche sui singoli denti.
Nel caso specifico sul 13 (A) la cui vestibolarizzazione può essere controllata scaricando la resina all’interno (B) e attivando lo sfioramento propriocettivo dell’arco all’esterno (C), per favorite il recupero del torque in direzione vestibolo-palatale. L’effetto presenza del contatto dell’arco vestibolare con la superficie del canino è bene evidenziato dal fatto che il filo passa a fatica (D)
Fig. 12 (A+B+C+D) – Per quello che riguarda il 23, invece, eseguiamo la manovra opposta per favorite il recupero del torque in direzione palato-vestibolare.
Fig. 12
Dopo avere irruvidito la resina (A) effettuiamo una piccola ribasatura in resina della zona palatale (B) e manteniamo discostato l’arco vestibolare.
Sottolineiamo:
• la presenza di una aletta a sx, che favorisce il riposizionamento mandibolare su questo lato, in contrapposizione alla deviazione
mandibolare verso dx (B);
• il contatto delle molle retro-inicisive con gli incisivi(C,D) che favorisce il loro cambio di torque in senso vestibolare.
Fig. 13 – Dopo avere effettuato questi controlli e le necessarie modifiche, che ribadiamo sono fondamentali per mantenere l’efficacia dell’apparecchio,
consegniamo il dispositivo opportunamente tarato sulle diverse ATTIVAZIONI PROPRIOCETTIVE
 e fissiamo l’appuntamento successivo a distanza di 8 settimane.
Fig. 13
Fig. 14 – Dopo due mesi, il controllo conferma il recupero del torque 13 in direzione vestibolo-palatale e del 23 in direzione palato- vestibolare, che:
• stabilizza ulteriormente il rapporto intermascellare statico in massima intercuspidazione;
• rafforza la stabilità posturale della mandibola;
• favorisce la traslazione verso sx.
Fig. 14
Fig. 15 (A+B) – Dinamica frontale.
I movimenti di lateralità verso dx (A) e verso sx (B) si presentano con due dinamiche traslatorie simmetriche, sostenute da una funzione tripodale, con la partecipazione progressiva dei versanti lavoranti accompagnati dai bilanciamenti controlaterali.
Questa relazione forma-funzione è fondamentale per:
• garantire la fisiologica alternanza dei cicli masticatori;
• consentire l’apertura dei movimenti eccentrici e consentire una minima ma continua spinta centrifuga
• favorire una migliore modulazione neuro-muscolare;
• supportare le articolazioni.
Fig. 15
Fig. 16 (A+B+C) – Dinamica sagittale.
Il movimento di protrusione si presenta rettilineo, sostenuto anche su questo piano da una funzione tripodale e assecondato dalla relazione sinergica fra la guida anteriore e lo sfioramento posteriore bilaterale (ad opera delle emi-curve di compenso di Spee).
Fig. 16
Si tratta di una condizione, maturata progressivamente durante il percorso terapeutico e caratterizzata dal recupero tridimensionale di un corretto rapporto fra forma-funzione, che dovrebbe rappresentare l’obiettivo prioritario di ogni riabilitazione ortodontica. Essa, infatti, è rappresentativa dell’equilibrio necessario:
• per favorire un’ulteriore maturazione del sistema verso una sempre migliore sinergia tra le determinanti occlusali e le determinanti muscolo-articolari;
• per ridurre i fenomeni di recidiva.
Una qualsiasi terapia ortodontica, indipendentemente dalle metodiche di lavoro utilizzate (a seconda delle preferenze di ogni operatore),
che termina con degli squilibri morfo-funzionali, rappresenta una condizione potenzialmente in grado di condizionare la fisiologia statico-dinamica e la salute dell’organo della masticazione, compromettendone la prognosi nel tempo e, più in generale, la salute dell’intero organismo.

Leave a Reply